Del Consiglio dell’Agraria, inteso come cronaca di un possibile scossone politico, ci sarebbe da dire poco o nulla: quando, appena entrati in aula, gli spettatori – giustamente più numerosi del solito – hanno visto la chioma riccioluta di Leoncelli, nonché le facce di buona parte dell’opposizione, è stato evidente a tutti che la verifica avrebbe seguito i binari tranquilli di un’approvazione senza sussulti.
Gli stessi, tanto per chiarire, anticipati poche ore prima da Renato Bacciardi, che si dichiarava tranquillissimo in vista di un consiglio a suo avviso anche superfluo. Una certezza che, almeno nelle dichiarazioni telefoniche, non ostentava Antonelli, che comunque si diceva sereno nell’attendere l’esito della serata.
Parole che, in realtà, eran pura pretattica, ed a confermare come il presidente ben conoscesse i numeri dell’assise è la stessa arringa “antonelliana” – giusto chiamarla così, come d’altronde ricorda nel corso della seduta il consigliere Serafini che, rimarcandone la professione, dichiara che “Antonelli per mestiere può dover difendere i peggiori criminali” – che, lungi dall’essere il testamento di un amministratore in eventuale uscita, è prima di tutto un atto d’affermazione personale, quindi un lancio di campagna elettorale. Impreziosito da ben cinque citazioni – ricordo De Gasperi, Cervantes e Bismark, la memoria m’abbandona sulle altre due fonti – e dalla continua evocazione, tutta a colpi di allusioni, di un fantasma nemmeno troppo misterioso: quello di un fantomatico figlio cui il padre spiana la strada, scrive interventi, smuove montagne.
Il fantasma del possibile avversario politico del futuro, che allo stesso tempo è simbolo della politica del passato, entra insomma in scena pur non essendoci, ma non sarà il protagonista della serata. E non lo saranno le dodici mani alzate, a fine discussione, da una maggioranza che si rinnova la fiducia, né un Serafini che, imbestialito, si riconosce nel discorso presidenziale che in realtà lo riguarda – forse – solo di striscio. E nemmeno Maurizio Leoncelli, che prendendo la parola parte con una critica a PD ed amministrazione che pare sottendere uno scherzetto dell’ultim’ora, salvo poi ripiegare verso i pacifici lidi di una fiducia da lui stesso definita “titubante”.
Il vero protagonista dell’assise è uno dei consiglieri che parlano meno: solo uno sfogo, rapido ma acceso, a microfono spento. E si chiama Maurizio Tufarini, alias Cimicione, usato da Guarisco come arma contundente, anzi come benzina per provare ad accendere il fuoco di un consiglio sin lì filato liscio come l’olio, anche troppo, persino durante gli interventi iperdiplomatici dell’opposizione. Affidando l’accusa a una voce popolare – a cui lui, naturalmente, non crede e non vuole credere, e dalle quali si dissocia, pur essendo lesto a riportarla ai quattro venti –, il geometra in una lettera al presidente allude (il video allegato lo testimonia bene) al fatto che l’acquisizione dell’ex consigliere d’opposizione sarebbe stata trattata direttamente dal sindaco Mazzola, su richiesta di Antonelli, facendo leva sulla sua condizione di disoccupazione.
Nulla meglio del video testimonia le reazioni subito seguite, cui vanno ad aggiungersi quelle del consigliere Ricci, anche lui entrato in aperta polemica con Guarisco. “Come dice il motto popolare – chiude Antonelli –Corpo male usato: ciò che fa gli viene pensato. Accetto lezioni di moralità da tutti, ma prima di farlo da alcuni personaggi preferisco ricordare le loro azioni e i loro comportamenti”.
E tra le uscite fuori posto di qualche consigliere ed il rituale senza suspance della votazione finale, il clima si stempera con l’applauso della maggioranza che saluta l’approdo raggiunto. Saranno le prossime settimane a capire quanto sicuro sarà il nuovo porto, quanto fedeli i marinai e, soprattutto, quanto ancora violenti i temporali che da piazza Matteotti scendono ad allagare il vascello di Palazzo Vipereschi ed a rovinare l’equilibrio di ciurma e capitano.