In cucina con Vittoria: il pepe

di Vittoria Tassoni

Il Piper nigrum, meglio noto come pepe, è una pianta che appartiene alla famiglia delle Piperaceae. Originario dell’India ma conosciuto in Cina già nel II secolo a.C., questo vegetale arrivò nel mondo occidentale circa duemilacinquecento anni fa.

Dai suoi frutti essiccati vengono ricavate spezie particolari quali il pepe bianco, il pepe nero e il pepe verde. Sulle modalità di raccolta si narrano storie bizzarre: sembra che le sue bacche venissero raccolte dalle scimmie perché la pianta cresceva in luoghi inaccessibili all’uomo, impervi, abitati da serpenti e da altri animali pericolosi. Tutto questo per giustificare l’alto prezzo.

Ma come è giunto sino a noi? Fin dalle conquiste di Alessandro Magno e con l’apertura dei traffici con l’Oriente, il crocevia tra l’Impero romano e il resto del mondo era Alessandria d’Egitto. Nel suo porto – il più importante del Mediterraneo – si svolgevano i grandi commerci tra il Nord e il Sud, tra l’Est e l’Ovest.

Ecco perché abbiamo traccia della presenza del pepe in Egitto. Nell’antica Roma, invece, questa spezia era utilizzata, così come le altre, sia in cucina che in cosmetica. Sotto Marco Aurelio il consumo di pepe era notevole, tanto che nel porto di Alessandria si applicavano tasse alle navi che lo trasportavano.

Nella cucina di Roma il Piper nigrum era presente in molte pietanze, sebbene a quel tempo, come oggi, esistessero falsificazioni alimentari: spesso veniva infatti sostituito con il più economico mirto. Oltre che in cucina, questa pianta era utilizzata come diuretico, stimolante dell’appetito, digestivo, calmante dei dolori… era un medicinale a tutti gli effetti. Dioscoride, Galeno e altri medici, infatti, le riconoscevano molteplici proprietà. Aveva perciò un costo molto elevato e rappresentava una merce rara con cui sovente i vassalli pagavano tributi o riscatti. Si narra che Alarico, re dei Visigoti, per rinunciare alla conquista di Roma (408 d.C.) ottenne, insieme ad altri tributi, anche tremila libbre di pepe.

Con la caduta di Roma e dell’Impero d’Occidente, i commerci con l’Oriente subirono un arresto e quelle poche spezie che arrivavano in Europa furono destinate ai monasteri e ai ricchi. Tutti i traffici passarono in mano agli Arabi. Successivamente, con le crociate, i mercanti europei acquisirono di nuovo quasi tutto il monopolio dei commerci, che rifiorirono definitivamente solo verso il IX secolo con l’affermarsi delle Repubbliche Marinare di Genova e Venezia. I mercanti iniziarono ad acquistare prodotti come riso e zucchero, che gli Arabi conoscevano benissimo. In Europa la città più potente era Venezia, tappa principale del commercio del pepe e di altri generi. Oltre al ricercato Piper nigrum iniziarono ad essere commerciate nuove spezie: zenzero, curcuma, cannella, noce moscata, chiodi di garofano, cardamomo, coriandolo. Carichi imbarcati nei porti mediorientali erano venduti  all’asta a Rialto da funzionari speciali di nomina statale denominati “messeri del pepe”.

Nel XV secolo l’apertura della Via delle Spezie e dei traffici tra il Vecchio continente europeo e l’India spostarono i mercati a Lisbona e tolsero il monopolio ai Turchi, ai Veneziani, agli Arabi e  ai Persiani. Questa forma di globalizzazione commerciale determinò un importante stravolgimento economico e alimentare. La costante richiesta del pepe dominò nei secoli il commercio delle spezie, fino a spingere mercanti ed avventurieri a battere anche le vie più pericolose.

Ma la domanda che sorge spontanea è: “Perché era necessario andare così lontano per avere questa spezia, affrontando un viaggio pieno di pericoli? Perché tutti desideravano averla e utilizzarla?” Forse perché rappresentava una merce di lusso molto ambita, data la sua difficile accessibilità, e anche redditizia per chi aveva la possibilità di investire. D’altronde, ieri come oggi, il lusso è un sistema simbolico condiviso dalla comunità, che possiamo associare ad una ricchezza esclusiva che appartiene a pochi individui e in segno di potere, di status e di ricchezza.

Ma per quanto tempo ancora avremo modo di trovare il pepe sulle nostre tavole, come ingrediente principale insieme alle altre spezie? Soltanto verso la fine del Rinascimento si avrà un cambiamento dei gusti. Nicolas de Bonnefons, cuoco alla corte di Luigi XI, pubblicherà il libro “Les délices de la campagne” (1654), opera che metterà in evidenza l’utilizzo dei vegetali e delle erbe aromatiche in cucina. Si avvertirà il cambiamento anche nel volume “La Cuisinier françois” (1651) di François Pierre de la Varenne. Nella cucina di Scappi si ridurranno molto i sapori dolci e speziati; nonostante il mantenimento dell’agrodolce, diminuirà l’uso delle spezie e dello zucchero, e quest’ultimo sarà sempre più impiegato nelle preparazioni da presentare a fine pranzo o in quelle con la frutta, in composte e in canditi. Lo zucchero è spesso utilizzato in preparazioni che non immaginiamo, come ad esempio per il condimento dell’insalata al posto dell’olio e dell’aceto. Vedremo pian piano alcuni prodotti di lusso quali il caffè, il cioccolato, il tè, prendere il posto delle spezie, ormai divenute appannaggio di molti.

E la medicina, invece, quale utilizzo faceva di questa pianta? Verso la metà del Cinquecento, per la prima volta un’opera medica citò il pepe fra i cibi e le bevande giovevoli agli impotenti. Anche nei secoli successivi la spezia trovò conferma di queste sue virtù nei trattati di medicina: “I principi del pepe penetrano nella massa sanguigna, arrivano ai tessuti organici e sulle fibre…” Tutti gli osservatori furono d’accordo nell’affermare che questa sostanza agitasse il sangue, e si credette che aumentasse la vita dell’apparato genitale in quanto forte afrodisiaco. Oggi sappiamo che nella medicina ayurvedica il pepe è utilizzato per favorire la digestione e stimolare il metabolismo e la termogenesi, ed è considerato un ottimo coadiuvante nelle diete dimagranti. È inoltre un antisettico, produce endorfine ed è un antidepressivo naturale. Di contro, ne è sconsigliata l’assunzione a chi soffre di gastrite, di emorroidi e di reflusso esofageo; deve invece essere usato con moderazione dalle donne in gravidanza e durante il periodo dell’allattamento.

Per concludere, cosa possiamo dire del pepe? Si può affermare che fino al Medioevo e in buona parte del Rinascimento questa spezia ha avuto un posto predominante nell’economia Europea. Con la massiccia importazione e la maggiore quantità di Piper nigrum si creò poi una frattura economica che ne determinò di conseguenza l’abbassamento del prezzo. Fu così che il pepe divenne alla portata di tutti e smise di essere un prodotto di lusso e di distinzione sociale.

Ricordiamo alcune ricette a base di pepe: il “peposo alla fornacina”, la “cacio e pepe”, il “pampepato”.

Bibliografia :
Jean-Luis Flandrin e Massimo Montanari – Storia dell’Alimentazione, Editori La Terza  2009
Enrico Carnevale Schianca -La cucina medievale, Olschki Editore
Francesco Antinucci –Spezie, Edizioni La Terza , 2021
A cura di Vittoria Tassoni, FoodBlogger esperta di Cultura Gastronomica   https://www.vittoriaincucina.it