(s.t.) “Sì, in effetti una foto particolare c’è: è del 19 luglio 1978”. Parlare di Angelo Jacopucci senza nemmeno sfiorare quella data è probabilmente impossibile, tanti sono i fili del destino che riportano la storia sua e di chi lo ha amato a quel giorno, a Bellaria.
Perché la chiacchierata fatta con Giovanna Verbo, la sua Giovanna, era vissuta di tanti altri aspetti e momenti di Brigetto, dall’inizio dell’amore alle emozioni nelle vittorie, passando poi dal passato al presente, a quanto di lui ancora vive in Andrea e Otto; sino ad immaginare come sarebbe lui, Angelo, oggi, a quasi settant’anni. Poi, quando praticamente c’eravamo già salutati, un’ultima domanda: “Giova’, c’è una foto che vorresti pubblicata?”. Lì è partito il racconto.
“Sono stata tanti anni senza tornare a Bellaria, sino a che non organizzarono una celebrazione in ricordo di Angelo, e mi invitarono. – spiega Giovanna – Una cosa bella davvero, con tanti poster giganti di Angelo. E io, che non ricordavo il nome dell’albergo dove Angelo aveva alloggiato in quella notte del ’78, camminai da Bellaria a Rimini e ritorno, cercando l’immagine di quell’hotel che, invece, avevo ben impressa in testa”.
“Non la trovai – continua – e tornai in albergo dopo oltre venti kilometri di camminata. Ma quando chiesi la chiave della camera alla reception, mi dissero che c’era una persona che mi aspettava: era il proprietario dell’hotel che avevo tanto cercato, che si presentò dandomi in mano quella foto”.
“Quest’immagine è forse l’ultima che ricordo, di Angelo: lo chiamarono in camera per dirgli che ero arrivata e lui scese così, in accappatoio blu e ciabatte bianche. Quella volta avevo fatto una cosa che non avevo mai fatto prima: avevo portato con me Andrea, non so perché. Voleva essere una sorpresa. E proprio in quei momenti venne scattata questa foto, tornata tra le mie mani non so quanti anni dopo”.
Andrea, che allora aveva quattro anni e poco più e che di Angelo ricorda poco, spiega Giovanna. “Eppure, al di là dell’estetica, in lui di suo padre rivedo tantissimo due cose: il non riuscire mai a stare fermo e la testa dura di Angelo, intesa non come testardaggine, ma come determinazione e caparbietà”. La stessa determinazione – se non dolce insistenza – che era all’origine della vita assieme di Giovanna e Angelo.
“No, non posso dire che mi piacesse da subito. – ricorda – Vuoi perché ero molto più piccola, avevo quattordici anni e lui quasi venti, vuoi perché frequentavamo gruppi diversi, inizialmente non scattò nulla di particolare. Ma proprio questo suo modo di fare, quel suo essere “Brigetto” come poi in tanti lo avrebbero conosciuto, mi ha fatta avvicinare a lui: ma sì, tutto è un po’ iniziato per questa sua perseveranza”. Era la fine degli anni ’60, Angelo da poco aveva iniziato a incrociare i primi colpi in palestra e da lì sarebbe cominciata una storia che più di molte altre è rimasta nel cuore non solo dei tarquiniesi, ma anche di tanti appassionati di boxe.
Un racconto fatto di tanti capitoli, con Giovanna che ne sceglie uno come ricordo forse più emozionante della storia sportiva di Angelo. “Quando vinse il titolo europeo, tornammo assieme da Milano: ricordo che, arrivati alla Barriera San Giusto, trovammo un’infinità di gente che lo aspettava, forse addirittura la banda. Pensa che Eusepi ci mise a disposizione una stanza del suo albergo, perché a casa di Angelo non si poteva tornare, per quanta gente voleva venire a trovarlo”.
“Per me è stata un’emozione enorme – ricorda pensando a quel momento – e si vedeva bene come lo fosse anche per lui: sia per la bellezza di quel momento, sia perché per Angelo rappresentava un po’ una rivincita. Non è un segreto che lo infastidisse più di qualche critica, anche da parte dei giornalisti…”
Una storia di quarantadue anni fa, era l’ottobre del 1976, quella di un ragazzo di Tarquinia salito a ventotto anni sul tetto d’Europa e felice di sentirsi, finalmente, riconosciuto dalla sua gente. Quel ragazzo, oggi, sarebbe alle soglie dei settanta anni. Ma Giovanna non ha dubbi: “Sarebbe ancora in palestra, in mezzo ai giovani. Di questo sono sicura”. La palestra sulle cui porte c’è la sua immagine, quella che – ci racconta Giovanna – suo nipote Otto ogni tanto guarda uscendo da scuola. “Lui vive la storia di suo nonno con piacere e tristezza allo stesso tempo. Gli piace sentirsi raccontare di chi fosse Angelo, ma a volte, tornando da scuola, mi ha detto: Sai nonna, sono dispiaciuto. E per cosa?, gli ho chiesto, pensando a vicende tra compagni. Di non aver conosciuto nonno Angelo. Così sono sicura che il racconto di Brigetto proseguirà, in famiglia, anche dopo me e Andrea: perché sono certa che Otto lo porterà avanti”.